L’anno nuovo inizia per tutti con una notevole mole di lavoro da realizzare e questo noi viticoltori lo sappiamo bene. Il nostro vigneto, infatti, dormiente, è lì ad attendere la potatura che gli permetterà di poter esprimere il meglio di sé nella primavera successiva.
Nei mesi iniziali dell’anno, scansionando le operazioni per tempo dunque, insieme alla manutenzione delle strutture, la potatura assorbe completamente noi viticoltore. Questa operazione, in gergo chiamata “potatura secca”, è destinata a regolare la chioma per ottenere e mantenere nel tempo una determinata forma della pianta e per ottenere una produzione di qualità “costante nel tempo”.
Per piante in produzione viene anche definita potatura di “produzione”. Tale tipologia comprende tutte le operazioni di taglio e regolazione della chioma che si effettuano ogni inverno per mantenere la forma di allevamento prevista e per equilibrare il rapporto tra produzione e vegetazione.
Ultimati questi tagli, oltre ad asportare le viti morte procediamo alla verifica della struttura di sostegno, sostituendo pali e fili eventualmente danneggiati. I tralci provenienti dalla potatura vengono sminuzzati con un trinciasarmenti e lasciati nel vigneto, poiché costituiscono un’importante fonte di sostanza organica; essi vanno asportati solo se è presente legno di grosso diametro fortemente colpito da malattie del legno (mal dell’esca e eutipiosi). Per questo tale legno deve essere asportato e non può nemmeno essere accatastato ai bordi del vigneto, ma deve essere distrutto (eventualmente bruciato) o allontanato. I controlli in questo periodo devono essere accurati.
In questo momento la vigna è spoglia e il terreno inerbito.
L’inerbimento, infatti, pratica colturale adottata nella nostra azienda, è un metodo di conduzione del terreno nel quale il vigneto è consociato ad una copertura vegetale composta da specie spontanee o appositamente seminate. Tale consociazione che può anche essere permanente o limitata solo ad alcuni periodi dell’anno e che può interessare tutta la superficie del vigneto o soltanto le strisce localizzate sulla fila o nell’interfila, è nel nostro caso spontanea, limitata ad alcuni periodi dell’anno e localizzata nell’interfila.
Esso si propone come metodo alternativo di gestione del suolo nel vigneto biologico, e numerose sono le sperimentazioni che hanno dimostrato come la presenza del cotico nel vigneto abbia influenza su quantità e qualità di produzione, deprimendo la prima e migliorando la seconda. Comporta inoltre:
Se ben gestito, quindi, l’inerbimento può svolgere un ruolo fondamentale sulla complessità dell’agro-ecosistema e, di conseguenza, nell’equilibrare tutti i fenomeni chimici, fisici e biologici che in esso si svolgono. Si tratta, pertanto, di una pratica sicuramente raccomandabile in viticoltura biologica, anche se il ricorso all’inerbimento e la scelta della tipologia da attuare vanno valutati in relazione a parametri che riguardano soprattutto la piovosità della zona, la disponibilità o meno di irrigazione e le caratteristiche fisico-chimiche del terreno. Questo perché il cotico, sia esso composto da erbe spontanee o seminate, potenzialmente può esercitare una competizione sul vigneto, soprattutto per quanto riguarda il fattore acqua e, pertanto, l’inerbimento va gestito in modo tale che si abbia minore competizione possibile.
L’inerbimento naturale completa una visione agroecosistemica che ha radici ben più lunghe che ritroviamo in ulteriori, come si definiscono in gergo, “elementi di naturalità”.
Con gli elementi di naturalità come, siepi, ciglioni, canneti ed altre fasce vegetazionali, noi esercitamo un significativo ruolo ai fini della stabilità dell’agroecosistema vigneto.
Ed è per questo che ho ben accolto i suggerimenti di Riccardo del Punto Macrobiotico di Giulianova …sono in linea con i miei progetti!
Infatti, tali elementi, presentano numerosi vantaggi ma uno di particolare importanza:
La presenza di queste strutture, vere e proprie aree di rifugio, è fondamentale per l’agroecosistema e si traduce nell’incremento della biodiversità aziendale. Infatti, tali strutture, si configurano come uno spazio naturale inserito tra i campi coltivati, nel quale è resa possibile la vita e la riproduzione di specie animali e vegetali selvatiche tra cui l’ottimale svolgimento del ciclo vitale di numerosi insetti, animali e microrganismi spesso utili.
L’interpretazione riduttiva del ruolo dell’agricoltura, intesa come fornitrice di prodotti commerciabili, ha portato agronomi ed agricoltori a percepire come unità di gestione il campo coltivato e non l’intero agroecosistema di cui esso fa parte.
La conseguenza spesso è stata l’eliminazione di tutte quelle aree marginali contigue alle aziende, poiché considerate entità separate, ostacoli alla meccanizzazione, fonti di inoculo di infestanti ed insetti dannosi per le piante coltivate.
Anche all’interno della azienda agraria la semplificazione della diversificazione biologica, si manifesta attraverso la sostituzione di numerose specie vegetali spontanee con le colture e di numerosi animali selvatici con quelli allevati.
Le aree di rifugio rappresentano, al contrario, degli spazi naturali in grado di promuovere l’incremento di una flora e di una fauna più complesse e diversificate ed hanno la funzione di ripristinare un’organizzazione strutturale maggiormente orientata all’uso delle risorse locali e quindi verso l’efficienza e l’autonomia del sistema.
Questo aspetto assume notevole importanza nella nostra realtà aziendale e porta ad un profuso e serio impegno quotidiano rivolto alla ricerca delle soluzioni dei problemi inerenti la coltivazione della vite all’interno dell’ecosistema agricolo.
Gli unici prodotti che utilizziamo come trattamento preventivo sono :
Il tempo scorre inesorabilmente e la primavera giunge cosi alle porte. Le piante sono pronte per il risveglio vegetativo, germogliano, e in campo si procede con la “potatura verde”, cioè con tutti quegli interventi destinati a regolare lo sviluppo vegetativo della chioma al fine di ottimizzare il rapporto tra superficie fogliare e quantità di uva. In ordine cronologico eseguiamo i seguenti interventi.
La spollonatura, pratica importante soprattutto nei primi anni di vita del vigneto quando tutte le gemme del fusto sono in grado di svilupparsi prontamente, per economicità e comodità viene eseguita abbinata all’intervento di scacchiatura.
Con tale operazione eliminiamo i germogli che si accrescono sulla porzione verticale del fusto e alla sua base, quei germogli che non portano uva e che sottraggono energia a quelli produttivi poiché crescono in direzione verticale (quella preferita dalla vite che altro non è che una liana che si arrampica verso l’alto) e vicino alle radici.
on la scacchiatura completiamo la spollonatura e lasciamo alla pianta solo i tralci che portano i grappoli nelle posizioni assegnate dalla forma di allevamento e quelli strettamente indispensabili per assicurare la produzione l’anno successivo. Eliminiamo tali tralci perché occupano posizioni non adatte sulle branche o lungo il fusto o perché portano un eccesso di produzione.
E’ un intervento che attuiamo solo nei casi di eccessivo rigoglio vegetativo, allo scopo di riequilibrare la vegetazione per favorire l’arieggiamento dei grappoli, l’insolazione delle foglie e dei grappoli ed una migliore penetrazione dei prodotti antiparassitari. Nelle nostre produzioni di alta qualità, la scacchiatura dei germogli è ritenuta indispensabile per mantenere una rigorosa impostazione della forma di allevamento ed un adeguato carico di uva per ceppo.
La defogliazione, pratica che consiste nell’asportazione delle foglie che coprono i grappoli al fine di migliorarne l’arieggiamento e l’insolazione, la utilizziamo soprattutto per la varietà a bacca rossa in modo da migliorare l’accumulo di polifenoli (sostanze che regolano la colorazione, la struttura e gli aromi delle uve e dei vini).
La evitiamo sui bianchi perché possono essere danneggiati da forte insolazione e viene generalmente eseguita con una certa precocità, immediatamente dopo l’allegagione per non rischiare, con l’esposizione estiva improvvisa, scottature all’epidermide degli acini.
La cimatura dei tralci viene eseguita allorché gli stessi tralci in accrescimento escono dalle strutture di sostegno e dagli spazi loro assegnati in base alla forma di allevamento e si allungano caoticamente in tutte le direzioni, rischiando di andare a coprire l’uva in maturazione. In tali circostanze si interviene tagliando la parte terminale del tralcio. Sebbene l’operazione sia molto semplice tale lavoro deve essere portato e a termine entro la fine del mese di giugno per consentire alla pianta di sviluppare i nuovi germogli, le femminelle, in tempo utile per contribuire all’ingrossamento e alla maturazione dei grappoli (fase di accumulo del tenore zuccherino); le foglie di nuova formazione infatti sono molto più efficienti nell’elaborare gli elementi nutritivi e vanno ad affiancare quelle più vecchie che via via diventano meno attive.
In ultimo, per evitare eventuali eccessi di produzione e il relativo scadimento qualitativo del prodotto, è possibile anche intervenire con il diradamento dei grappoli fino al momento dell’invaiatura.
Contestualmente ai lavori eseguiti sulla pianta
Realizzare uno dei migliori vini al mondo secondo i metodi biologici e biodinamici, per donare piacere, gioia e garanzia di una vita salutare.